DI PROPRIO PUGNO

“Fernando racconta con tutto il corpo, non solo con le parole: può trasformarsi in non importa che cosa, draghi volanti, o giù di lì, e lo fa in modo tale che, quando poi si sente per esempio l’uccello-clarino che canta da un ramo, viene subito da dire: “Questo uccello-clarino sta proprio imitando Fernando, quando Fernando gli fa il verso”.

Racconta le cose che capitano alla gente semplice, quella di tutti i giorni che sembra nata ieri, che odora ancora del fango di cui è stata fatta…

Una Vigilia di Natale Fernando rimase a lavorare fino a tardi in Ospedale, nell’ospedale dei bambini di Managua che dirige. Si sentivano già gli scoppi dei razzi e i lampi dei fuochi d’artificio illuminavano il cielo, quando  si decise di andare a casa dove lo aspettavano per la festa.

Mentre faceva un ultimo giro attraverso le corsie, per vedere se tutto fosse in ordine, sentì d’un tratto un lieve rumore di passi alle spalle. Passi di cotone. Si voltò, e vide uno dei piccoli pazienti che lo inseguiva. Nella penombra lo riconobbe: era un bambino che non aveva nessuno.

Fernando osservò quel viso già segnato dalla morte e gli occhi che chiedevano scusa, o forse permesso. Gli andò vicino e il bambino lo sfiorò con la mano: “Diglielo … sussurrò – dì a qualcuno che io sono qui”. (Edoardo Galeano, “Il libro degli abbracci”)

Io sono l’uomo più nicaraguense del mondo

Io sono l’uomo più nicaraguense del mondo

lo dico così, semplicemente.

Sono l’uomo più nicaraguense

perché non mi interessa nient’altro

che ciò che è nicaraguense

e non conosco niente di meglio

di quanto è nicaragense

e non so cosa potrei fare io

se non fosse che lo faccio da nicaraguense

per quanto lo faccia bene o male

così è

come una pietra è una pietra

e non un Angelo morto

(anche se sarebbe bello che lo fosse).

Sono l’uomo più nicaraguense del mondo e

io lo so.

Compatrioti

eccomi qui nella mia casa

coricato nella mia amaca.

 Il libro è stato tradotto da M. Fernández