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Rayuela Edizioni

VOLEVO ESSERE IO - Frida allo specchio

VOLEVO ESSERE IO - Frida allo specchio

di Milton Fernández
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Ora non c’è più l’uno o l’altra. Sono sue le mie cicatrici, gliele tatuo addosso, una e un’altra volta, su ogni centimetro di pelle, come un marchio; mi approprio del suo centro, il suo punto apicale, quella preghiera verticale sul punto di esplodere già da un pezzo, in una deflagrazione planetaria. Che trattengo, vittima e carnefice allo stesso tempo, fino a farlo contorcere dalla fitta pungente dell’attesa. Siamo uno, nient’altro, un portentoso organismo unicellulare che penetra sé stesso. Due lumache solitarie che si attorcigliano, nell’aria incessante della sera. Continua ad annottare. Tra poco nulla sarà quello che era. Scivolo dentro di lui e lui in me, in ogni parte di me. Lo infilo, lo incuneo, trovo il suo posto al mondo tra le mie ossa malandate. Diego dentro di me, e io in lui. Ora può lasciarsi andare. Finalmente. Lasciare fluire in me i reconditi rimasugli di sé stesso. Glielo consento. Lui sorride, appagato, sulla soglia dell’ultimo sussulto. Tra poco ronferà come un bambino. Lo coccolerò ancora per un po’, prima di sdraiargli una coperta addosso, di spegnere i lumi, di maledirmi per l’ennesima volta, con lo stesso astio con cui maledico lui. (Dalla quarta di copertina)

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Dal libro:

"Là sopra troneggiava La Creazione, il murale di Diego Rivera - encausto e foglia oro - la cosa più fottutamente bella che io avessi visto in tutta la mia vita… 

Rimasi lì, sbalordita, senza riuscire a staccare gli occhi da quella creatura che avevo visto nascere, a brandelli, tra i riquadri dell’impalcatura incerta, dietro quella figura millenaria che si muoveva come una farfalla, l’odore acre della resina e la cera, stuprate dal fuoco.

Che grande figlio di puttana!

Come si fa a tratteggiare l’universo, da cima a fondo, dall’inizio alla fine, in poche braccia di muro intonacato?

Lì c’era la luce primordiale, il seme dal quale è sorta la natura, l’uomo, ciascuno di noi; c’era Leonardo, e Michelangelo… c’era l’albero della vita e della morte, l’aquila, il leone, il toro… l’inizio di ogni cosa… c’era il Messico, tutto quanto, la sua terra, le sue piante, il suo dolore, il suo sangue. C’era la fiaba e la conoscenza, i corpi nudi di Adamo ed Eva, i frutti più belli della creazione; la poesia, l’erotismo, la tragedia, l’angoscia…

È stata la prima volta che Diego Rivera mi ha fatto piangere."

La storia passionale di un’epoca, di un continente, e del personaggio che diventò il loro più fedele testimone.

Frida Kahlo.

Una donna in guerra con il dolore, il disincanto, il pregiudizio, e le infinite versioni di sé stessa che gli altri hanno continuato a disegnarle addosso. 

 

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RECENSIONI:

- Recensione di Silvia Gussoni

Leggo le ultime righe di “Volevo essere Io (Frida allo specchio)” e non nego la mia commozione.

Sono entrata in questo romanzo-biografia come si entra in casa di qualcuno sconosciuto su invito di un amico comune e si prova sin da subito una forte empatia e simpatia per la padrona di casa.

Inizia così la mia conoscenza con Frida. Pagina dopo pagina diventa più profonda, più intima, perché lei racconta tutto di sé in prima persona senza risparmiare nulla, nel bene e nel male, lo fa senza filtri né maschere né l’ipocrisia di volersi mostrare come qualcuno che non è, donna e artista fuori da ogni convenzione. Impossibile scindere le due cose.

Non so come sia riuscito l’autore, Milton Fernandez, a fare questo incantesimo letterario il cui effetto è sorprendentemente autentico: è Frida che parla, che piange, urla, gioisce, soffre, ama, lotta contro la morte e non per sopravvivere, ma per vivere appieno senza mai sottrarsi per paura. Sospetto che nei suoi viaggi sudamericani Milton possa aver sperimentato un rito sciamanico e sia stato letteralmente posseduto dallo spirito di Frida Kahlo! Forse nella ricerca sull’artista ha potuto varcare la soglia di Casa Azul ed è stato permeato da sangue, terra, fango e lacrime di cui certamente lì trasudano le pareti e addentrandosi più a fondo, nelle stanze dei coniugi Rivera, è giunto nel talamo di Frida e da quello stesso letto-prigione in cui Frida si specchiava, ha visto la sua stessa immagine trasfigurare nei lineamenti inconfondibili della pasionaria messicana.

Non conosco così bene la vita di Frida Kahlo per poter distinguere in queste pagine la realtà dal romanzo, ciò che esce dalla bocca di Frida e ciò che è solo frutto dell’inventiva dell’autore. C’è una miscellanea di cronaca storico-politica, biografia, romanzo d’amore, poesia, diario personale, che sommerge e riempie i pensieri in una overdose di sensazioni e sentimenti che tramortisce, perché la personalità di Frida che emerge è eccessiva, travolgente, così come il suo coraggio istintivo spesso al limite dell’incoscienza, la coerenza viscerale che ne fu il vessillo in tutti gli aspetti della sua esistenza e per tutti i giorni, mai scontati, in cui ha potuto respirare.

Ci sarebbe molto da dire sul contenuto di questo libro, su certe frasi usate che sono perle poetiche, credo potrei scrivere a lungo e mi piacerebbe continuare. Mi limiterò a descrivere ciò che mi è rimasto addosso, a caldo. Appena finito ho avuto la netta sensazione di aver avuto a che fare con un Jumanjii di carta e inchiostro, una specie di viaggio intenso interattivo costellato da trappole emotive, dove le parole sono frecce dritte al petto. Perché ci si riconosce maledettamente in Frida, pur non avendo vissuto nemmeno un milionesimo della sua straordinaria vita. Ci si riconosce nella sua emotività, nelle gioie e dolori che Milton Fernandez sa raccontare con parole e immagini anche crude e asciutte, come probabilmente era Frida, però con una introspezione e sensibilità che definirei uterine, dote davvero inaspettata in un uomo, anche solo per genetica. Forse mi dovrei ricredere sulla possibile capacità maschile di entrare nella mente di una donna, pur non essendo un professionista del settore, oltre che nelle sensazioni di  un corpo femminile sventrato che prova abissi di dolore, per esempio quando le sue gravidanze si sciolgono nello strazio di poveri grumi di sangue.

La vita di Frida è un rosario di eventi forti, tragici, di cadute, ma anche di voli, di riscatti, di passioni, e finalmente di applausi sul finale.

Ne viene fuori da questo romanzo il ritratto di una donna eccezionale, sempre fedele a se stessa anche a discapito dell’accettazione altrui, della comprensione della società dei benpensanti, del riconoscimento del suo talento per molto tempo rimasto  all’ombra ingombrante della fama del suo uomo, in un mondo dove anche l’arte d’altro canto era soprattutto maschile e le donne-artiste erano solo le mogli di qualcuno.

Nonostante la poliomielite, il fisico deturpato dal terribile incidente e dai numerosi interventi successivi, una fisicità e uno stile fuori dai canoni estetici dell’epoca, la personalità forte e determinatamente contro preconcetti e formalismi, molti conoscendola finirono istintivamente con l’innamorarsi di questa piccola grande donna, esattamente come se ne innamorò il più infedele dei messicani, che però le fu sempre accanto, sostenendola in salute e malattia e promuovendola artisticamente. E’ davvero una bella favola moderna la storia d’amore tra Frida e Diego che sottende tutto il romanzo, attualissima e vera e ancora più vera perché è Frida a raccontarcela, tramite il suo medium Milton.

Mi è piaciuto tutto di questo libro. Alla fine Frida ha vinto tutto, persino la morte. La sua arte l’ha resa immortale.

Diego Rivera, un brutto rospo, egocentrico e infedele, lei una donna a pezzi, mutilata e storpia, depredata della sua capacità di procreare, entrambi hanno avuto reciprocamente l’una per l’altro quello sguardo che Frida cercava sin da ragazzina, lo sguardo che vede oltre che guardare, che denuda e lascia l’anima ai piedi.

Mi è piaciuto tutto di questo libro. Persino il titolo, tanto che vorrei essere anche io un po’ Frida.

- RECENSIONE di Milena Contini (Università di Verona)

"... L’autore non si accontenta di rappresentare la sofferenza di Frida, ma dissotterra i frammenti rimossi e smaschera gli autoinganni, vivisezionando ogni riverbero dei traumi. Dilata istanti e comprime decenni per restituire un itinerario denso di percezioni più che di avvenimenti. In una fisarmonica cronologica analessi e prolessi si rincorrono sagomando un mosaico di stati d’animo in cui il confine tra ricordo e sogno è talmente labile da farsi trasparente. I diversi personaggi del plot danzano intorno al fuoco come fantasmi in cerca di una pace impossibile. Incessante espiazione di spiriti irrimediabilmente smarriti.

E così dentro Frida si scorgono tante donne diverse, talune reticenti, altre perfino sfacciate. Un rito di passaggio perenne, vorticante. Dalla bambina seria che ci fissa, col fiocco in testa, sulla copertina fino alla vecchia (vecchia appena quarantenne) che arranca in carrozzella per via della gamba mozzata.

Ma Frida emerge soprattutto come madre mancata, annegata nello stesso sangue dei propri ripetuti aborti. Una maledizione, quella di non poter generare la vita, alla quale è impossibile abituarsi. Disabilità atavicamente inconcepibile. E così non le resta che accudire un bambino abnorme, oleoso, invertebrato: Diego. Uomo (se vogliamo chiamarlo in questo modo) che viene a rappresentare e a riassumere tutti i ruoli: padre, maestro, amico (nemico), carnefice, compagno, collega, complice, amante e, seguendo una sorta di processo di gemmazione, figlio.

Lo stile scelto da Fernández è prismatico, ricco di contrasti: in alcuni passaggi risulta felpato, addirittura musicale, in altri gronda di parole. I termini traslitterati dall’azteco, i nomi delle divinità in primis (quasi impronunciabili per un italofono), incutono una certa soggezione e somigliano a formule magiche: sonorità ipnotiche, ancestrali, gloglottanti. Parossistiche piramidi verbali cedono il passo a periodi piani, pressoché sgocciolanti. Questo reiterato stop and go stimola il lettore, lo rende partecipe di una storia che riesce a sdoganare Frida dalle frasi melodrammatiche stampate in calce alle sue riproduzioni e, ancor più, dagli aforismi lacrimevoli a lei attribuiti superficialmente. Proditoriamente, mi verrebbe da aggiungere. (...)

L’atmosfera creata dal romanzo ingenera una curiosità, anzi, proviamo a usare il termine latino curiositas (che, com’è noto, si riferisce in modo particolare alla curiosità intellettuale), tale che, pur conoscendo le vicende biografiche dell’eroina, si resta col fiato sospeso fino all’ultima pagina. Sappiamo che Frida è morta il 13 luglio 1954 a Città del Messico a causa di un’embolia polmonare, eppure ci chiediamo come andrà a finire la sua esistenza. La prerogativa della suspense non è monopolio dei gialli o dei noir, perché esistono infiniti modi di morire e, soprattutto, di salutare la vita quando è arrivato il momento di andare via."

Pagine: 218
Codice ISBN: 978-88-97325-93-2
Dimensioni: 190 mm x 134 mm x 11 mm
Peso: 303 g
Data di pubblicazione: 27/09/2024
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