GIA' CHE SEI IN PIEDI
GIA' CHE SEI IN PIEDI
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Ecco qui il regalo dei ragazzi dopo un triennio ricco, articolato e terminato, per fortuna, con una pizza in presenza: una maglietta con la scritta “Già che sei in piedi”. (Gia’ che sei in piedi… nell’originale).
Perché questa scritta? Perché quando vedevo un alunno seduto stravaccato, o semiaddormentato, o ‘piallato’ sul banco (Valentina Petri docet), io lo scuotevo dicendogli: “Già che sei in piedi, vai dalla bidella…” “Già che sei in piedi, vai all’armadio a prendere…”, “Già che sei in piedi, vai a farti un giretto e torna”.
Così quella è diventata la frase della III D.
All’inizio della I media, provavano a dire: “Prof, ma guardi che io non sono in piedi!” Poi hanno capito che non sarebbero stati tre anni normali, tre anni banali e si sono adeguati.
Lo scherzo, l’ironia, il gioco di parole, lo sguardo molteplice tra parole e realtà sono riuscito a insegnarlo. Ed è stata una terza meravigliosa, difficile (ma che gusto c’è a fare le cose facili?), piena di soddisfazioni e di uno scambio di emozioni e di empatia straordinario.
Grazie, ragazze e ragazzi della III D Angelini.
Gipo Anfosso
(…) Utilizzando un linguaggio familiare, con guizzi di ironica affettuosità ma anche con disarmante sincerità, (l’autore) ci mostra una classe insegnante a volte demotivata, stanca, arresa di fronte alla complessità del ruolo docente. (…)
Dall’altro lato della barricata, vicine eppure spesso lontanissime, ci sono le famiglie: distratte, a volte provvisorie, concentrate su una quotidianità frequentemente problematica e senza gli strumenti necessari per attraversare, gestendola al meglio, la fase della vita in cui i figli devono fare i conti con importanti cambiamenti fisici, psicologici, mentali.
Infine ci sono loro, i ragazzi: fragili, spavaldi, emotivi, complessi, a volte trasgressivi, non di rado schiacciati da problemi più grandi di loro. Ma ricchi di un’umanità in divenire, di una sorprendente voglia di mettersi in gioco, mossi dal bisogno inderogabile di essere visti e ascoltati.
È questa la parte più toccante del libro, per il rispetto, l’attenzione, la cura con cui vengono descritti.
Un libro che aiuta a non dimenticare che in-segnare significa imprimere dei segni. Grazie a questi segni che muovono le coscienze, la scuola diventa un laboratorio di democrazia, di inclusione, di tolleranza, di solidarietà.
E così, come dice Freud, “una professione impossibile” diventa una magnifica opportunità. Dalla postfazione di Maria Teresa Camera
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