Descrizione prodotto
Matteo, che si chiama anche Matthias, ha una vita che scorre su un doppio, inconciliabile, binario. La sua è un’esistenza divisa tra due paesi, l’Italia e la Svizzera, tra due lingue e due personalità.
La sentii atrofizzarsi dentro di me, ridursi a un misero grumo che poi decisi di buttare via. Mi tenni solo qualche brandello di frase per i casi di emergenza, espressioni come «buongiorno» e altre forme di saluto, un «grazie» e un «prego», «sì, volentieri», «no, grazie» e «non lo so». Così entrai in una nuova fase della giovinezza, una fase praticamente muta. In quel periodo si accentuò ulteriormente la familiare capacità di ascolto vigile, il Lauschen, abbinata e addirittura superata da un impercettibile, inconsapevole fiutare, abbinato al vedere senza guardare. Il risultato fu che da quegli anni, dal quarantaquattroquarantacinque in poi, iniziai a capire tutto, a patto comunque che nessuno mi facesse delle domande.
In quello che è il lucido, toccante, racconto della sua schizofrenia procede su deviazioni e vicoli ciechi cercando una destinazione per la sua vita-convoglio. Viaggia così su treni reali e immaginari lungo i binari della sua esistenza, dalle tappe in stazioni come Zürich Hauptbahnhof e Santa Maria Novella, a linee sotterranee che si materializzano nelle venature del pavimento della sua stanza.
L’autore ci invita a partire con lui, a salire sul suo treno. E viene facile il viaggio, nonostante la sofferenza raccontata, perché Rychner non cede mai all’autocommiserazione e la sua scrittura è asciutta e intelligente.
Sarà grazie agli scambi e agli improvvisi mutamenti di direzione, ai valichi di frontiere interne ed esterne, che il viaggio finirà dove è iniziato, nella sua Firenze, azzerando la distanza tra passato e presente e rendendolo consapevole del fatto che nulla è definitivo e che, per sopravvivere, non resta che continuare a viaggiare.
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